Roma

Roma

“Canto le armi e l'uomo che per primo dalle terre di Troia raggiunse esule l'Italia per volere del fato e le sponde lavinie, molto per forza di dei travagliato in terra e in mare, e per la memore ira della crudele Giunone, e molto avendo sofferto in guerra, pur di fondare la città,e introdurre nel Lazio i Penati, di dove la stirpe latina, e i padri albani e le mura dell'alta Roma”
Virgilio, Eneide, I, 1-7

Roma

Secondo il racconto che Virgilio costruisce nell’Eneide, la fuga di Enea da Troia, distrutta dai Greci, non fu dettata solamente da un desiderio di salvezza, ma derivò da un ordine divino, affinché il troiano potesse portare a compimento ciò a cui era destinato: la nascita di una città straordinaria che fosse diretta discendente della grandezza di Troia.
Nel poema virgiliano gli dei affidano ad Enea, attraverso sua madre Venere (l’Afrodite dei Greci), il compito di intraprendere un viaggio lungo e difficoltoso, con la consapevolezza che solo lui, poiché pius (cioè profondamente devoto alle divinità e rispettoso della famiglia), avrebbe potuto sfidare ogni avversità per obbedire al volere del Fato.
Portando con sé  l’anziano padre Anchise, suo figlio Ascanio e le divinità familiari (i Penati),

Gian Lorenzo Bernini, gruppo scultoreo di Enea, Anchise e Ascanio.
(1618-1619, Roma, Galleria Borghese).
l’eroe porta a termine il suo lungo viaggio e giunge alla foce del Tevere: qui incontra il re degli Aborigeni, Latino, che, spinto da una profezia, gli concede in sposa sua figlia Lavinia, nonostante la fanciulla fosse già promessa al re dei Rutuli, Turno. Quest’ultimo, adirato per il tradimento dell’impegno preso, dichiara guerra ai Troiani. Enea, nel tentativo di rispondere all’attacco di Turno e su ispirazione del dio Tevere, stipula un’alleanza vittoriosa con Evandro, il re del villaggio di Pallanteo, posto sul colle Palatino. La definitiva vittoria sui Rutuli e il matrimonio con Lavinia sancisce così l’inizio di una nuova stirpe italica di origine troiana: la fondazione della città di Alba Longa da parte di Ascanio, figlio di Enea, crea la linea di discendenza che avrebbe portato alla nascita di Romolo e Remo e, di conseguenza, alla nascita di Roma.
Luca Giordano, Enea vince Turno
(1682 circa, Firenze, Galleria Corsini).

Il rapporto dei Romani con i mitici progenitori, Enea, Evandro ed i gemelli Romolo e Remo, fu talmente stretto da influenzare la topografia della città, dove diversi monumenti richiamavano le vicende delle origini.

Tra tutti i luoghi di Roma connessi con questo racconto mitologico, il colle Palatino è sicuramente quello che ha rivestito maggiore importanza nell’immaginario dei Romani, in quanto sede dell’abitato di Evandro e luogo in cui Romolo fondò il primo nucleo della città.
Qui, dove gli scavi archeologici hanno portato in luce le tracce di un antichissimo villaggio di capanne dell’VIII secolo a.C. e dove la tradizione colloca la dimora di Romolo,

Ricostruzione del villaggio delle “Capanne del Palatino”
(Roma, Museo Palatino).
sarebbe avvenuto l’incontro tra Enea ed Evandro, re degli Arcadi – e dunque un greco – anch’egli giunto nel Lazio da lontano: un incontro fra persone di genti diverse, in origine nemiche, ma che darà origine alle virtù e al valore dei Romani anche attraverso la loro alleanza. Enea viene accolto con favore ed Evandro mostra all’ospite i luoghi dove sarebbe sorta Roma: Enea si trova così a percorrere i luoghi dove si ergerà la città che sostituirà l’antica Troia, la grande Roma di cui proprio lui e la sua discendenza saranno i progenitori. Scendendo una gradinata che collegava il colle Palatino con il Foro Boario (le “Scalae Caci”), il re racconta ad Enea come Ercole avesse ucciso il mostro Caco, che gli aveva rubato le mandrie, liberando così il paese dalla sua infausta presenza. I riti di ringraziamento ad Ercole sono celebrati da Evandro presso un’ara definita “massima”, generalmente riconosciuta nell’Ara Massima di Ercole, situata nel Foro Boario. Alle pendici del Palatino, inoltre, si troverebbe anche uno dei luoghi più importanti della leggenda di Romolo e Remo: il Lupercale. Secondo la tradizione i due gemelli, figli di Rea Silvia – discendente di Enea – e del dio Marte, furono abbandonati per ordine del re di Alba Longa, Amulio, per paura che, una volta cresciuti, potessero reclamare legittimamente il trono. Posti in una cesta, furono trasportati dalla corrente del fiume Tevere fino ad una grotta sacra a Marte e a Fauno Luperco, dove furono allattati da una lupa. Trovati dal pastore Faustolo, i gemelli crebbero sul Palatino, dove successivamente Romolo, dopo aver ucciso il fratello, fondò Roma.
Altare con rappresentazione del Lupercale. Romolo e Remo sono allattati dalla lupa alla presenza dei pastori Faustolo e Plistino, e delle personificazioni del Palatino e del Tevere.
(98-117 d.C., Roma, Palazzo Massimo alle Terme).

L’evidente centralità del Palatino nella nascita della città spinse i Romani ad arricchire il colle e le aree limitrofe di monumenti che celebrassero la propria origine troiana e che conservassero i simboli – i sacra – portati in salvo da Enea.
In prossimità delle “Capanne del Palatino” si trova, infatti, il Tempio della Magna Mater, il cui culto proveniva proprio dalla Troade: fu realizzato nel III secolo a.C., durante la Seconda Guerra Punica, nella speranza di ricevere aiuto dalla dea Cibele.
Nel Tempio di Vesta, situato nel Foro Romano, era ospitato il “Palladio”: l’antichissima immagine di Atena “Pallade”, donata da Zeus a Dardano, che, secondo la tradizione, rappresentava la principale fonte di protezione di Troia e pegno della sua salvezza.

Il Foro Romano visto dal colle Palatino.

Approfondimenti

Informazioni aggiuntive
Sembra, inoltre, che le sponde del Tevere abbiano ospitato un ulteriore edificio di spicco per la tradizione troiana, ma di cui restano solo alcune testimonianze indirette: il luogo di conservazione di una antichissima nave, in cui veniva riconosciuta quella con cui Enea era arrivato nel Lazio. La celebrazione delle antichissime origini dei Romani, tuttavia, non fu dettata solo da un orgoglioso legame con il passato, ma anche da motivazioni propagandistiche. Giulio Cesare,

La città è strettamente legata al racconto del mitico viaggio di Enea, cantato da Virgilio nell’Eneide, come punto di arrivo dell’eroe troiano sulle coste laziali.
Secondo la tradizione ripresa da Virgilio, infatti, appena sbarcato Enea fece il primo sacrificio, in un luogo presso il fiume Numico (oggi Fosso di Pratica: Numico_1), dove poi sarebbe sorto un santuario dedicato a Sol Indiges. Inseguendo una scrofa bianca gravida, l’eroe percorse una distanza di 24 stadi: qui la scrofa partorì trenta piccoli e il prodigio offrì ad Enea un segno della volontà degli dei di fermarsi e fondare una nuova città. L’eroe incontrò Latino, il re della locale popolazione degli Aborigeni, il quale, dopo aver consultato un oracolo, capì che i nuovi arrivati non dovevano essere considerati degli invasori, ma come uomini amici da accogliere. Enea sposò dunque la figlia di Latino, Lavinia, e fondò la città di Lavinium, celebrando la nascita di un nuovo popolo, nato dalla fusione tra Troiani e Aborigeni: il popolo dei Latini. Il mito racconta che Enea non morì, ma scomparve in modo prodigioso tra le acque del fiume Numico e da questo evento fu onorato come Padre Indiges: Il padre capostipite.

La piazza pubblica della città aveva una pianta rettangolare, ornata sui lati lunghi da portici, su cui si aprivano diversi edifici: uno di questi aveva forse la funzione di “Augusteo”, luogo dedicato al culto imperiale, come sembra indicare il ritrovamento di splendidi ritratti degli imperatori Augusto, Tiberio e Claudio. Sul lato corto occidentale si affacciavano un edificio elevato su un podio, forse la Curia (luogo di riunione del governo locale), e un tempio, risalente ad età repubblicana.

Il santuario, situato ad est della città antica, era dedicato alla dea Minerva, che a Lavinium è dea guerriera, ma anche protettrice dei matrimoni e delle nascite. È stato trovato un enorme scarico di materiale votivo databile tra la fine del VII e gli inizi del III sec. a.C., costituito soprattutto da numerose statue in terracotta raffiguranti soprattutto offerenti, sia maschili che femminili, alcune a grandezza naturale, che donano alla divinità melograni, conigli, colombe, uova e soprattutto giocattoli: le offerte simboleggiano l’abbandono della fanciullezza e il passaggio all’età adulta attraverso il matrimonio


Eccezionale il ritrovamento di una statua della dea, armata di spada, elmo e scudo e affiancata da un Tritone, essere metà umano e metà pesce: questo elemento permettere di riconoscere nella raffigurazione la Minerva Tritonia venerata anche in Grecia, in Beozia, e ricordata da Viirgilio nell’Eneide (XI, 483): “armipotens, praeses belli, Tritonia virgo” (O dea della guerra, potente nelle armi, o vergine tritonia…)

Il culto del santuario meridionale nasce in età arcaica ed era caratterizzato da libagioni. Nella fase finale il culto si trasforma invece verso la richiesta di salute e guarigione, documentato dalle numerose offerte di ex voto anatomici. Sono state trovate iscrizioni di dedica che ricordano
Castore e Polluce (i Dioscuri) e la dea Cerere. La molteplicità degli altari e delle dediche è stata interpretata come testimonianza del carattere federale del culto, quindi legato al popolo latino nel suo insieme: ogni altare potrebbe forse rappresentare una delle città latine aderenti alla Lega Latina, confederazione che riuniva molte città del Latium Vetus, alleatesi per contrastare il predominio di Roma.

Dionigi di Alicarnasso, vissuto sotto il principato di Augusto, afferma di aver visto in questo luogo, ancora al suo tempo, nel I sec. a.C., due altari, il tempio dove erano stati posti gli dèi Penati portati da Troia e la tomba di Enea circondata da alberi: «Si tratta di un piccolo tumulo, intorno al quale sono stati posti file regolari di alberi, che vale la pena di vedere» (Ant. Rom. I, 64, 5)
Alba

Lavinium fu considerata anche il luogo delle origini del popolo romano: all’immagine di Roma nel momento della sua espansione e della crescita del suo potere era utile costruire una discendenza mitica da Enea, figlio di Venere, onorato per le sue virtù, per la capacità di assecondare gli dèi; di conseguenza si affermò anche la tradizione per la quale Romolo, il fondatore di Roma, aveva le sue origini, dopo quattro secoli, dalla medesima stirpe di Enea.
Secondo questa tradizione Ascanio Iulo, il figlio di Enea, aveva fondato Alba Longa, città posta presso l’attuale Albano, dando l’avvio a una dinastia, che serviva per colmare i quattrocento anni che separano le vicende di Enea (XII sec. a.C.) dalla fondazione di Roma (VIII se. a.C.), quando, dalla stessa stirpe, nacquero i gemelli Romolo e Remo, secondo la tradizione allattati da una lupa. Questi erano dunque i nipoti del re di Alba Longa. La madre era Rea Silvia e il padre il dio Marte. Romolo uccise Remo e poi fondò Roma nel 753 a.C. Lavinium diventava così la città sacra dei Romani, dove avevano sede i “sacri princìpi del popolo romano”.

Il Borgo sorge su una altura occupata nell’antichità dall’acropoli di Lavinium. In età imperiale vi sorge una domus, testimoniata da pavimenti in mosaico in bianco e nero (Borgo_1). Una civitas Pratica è ricordata per la prima volta in un documento del 1061, mentre nell’epoca successiva si parla di un castrum che fu di proprietà del Monastero di San Paolo fino al 1442. La Tenuta di Pratica di Mare, comprendente anche il Borgo, allora definito “Castello” (Borgo_2), divenne poi proprietà della famiglia Massimi e in seguito fu acquistata nel 1617 dai Borghese. Il principe Giovan Battista, nel tentativo di valorizzare il territorio con l’agricoltura, ristrutturò il villaggio nella forma che ancora oggi rimane, caratteristica per la sua pianta ortogonale e la sua unitarietà. Dalla metà dell’Ottocento la malaria, che devastava la campagna romana, causò lo spopolamento del borgo, finché Camillo Borghese dal 1880 si impegnò nell’opera di ricolonizzazione, restaurando il palazzo e intervenendo con una importante opera di riassetto della tenuta, dove fu impiantata una singolare vigna a pianta esagonale. Il Borgo e la tenuta rappresentano una preziosa area monumentale e agricola ancora intatta all’interno della zona degradata di Pomezia e Torvaianica.

Ritratto di Gaio Giulio Cesare
(Età augustea, Roma, Musei Vaticani).
infatti, che si considerava un diretto discendente di Enea, fu il primo a sfruttare l’origine della sua famiglia – la Gens Iulia – per scopi politici, come dimostrato dal Foro di Cesare, con l’eloquente Tempio di Venere “Genitrice”. Questa politica propagandistica fu seguita con maggiore vigore da Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, che divenuto imperatore Augusto
Statua dell’imperatore Augusto da Prima Porta
(Inizi del I secolo d.C., Roma, Musei Vaticani).
richiamò l’origine troiana e divina della dinastia Giulio-Claudia sia nel suo Foro, sia nell’Ara Pacis Augustae: attraverso le decorazioni, l’imperatore volle elogiare l’inizio di un’epoca aurea per Roma e di una “pace universale”, garantita dai discendenti della stirpe di Troia. Roma, con Augusto, aveva raggiunto lo splendore che gli dei avevano prefigurato ed il Fato si era definitivamente compiuto. Un richiamo a Venere come madre di Enea e, di conseguenza, come protettrice dei Romani si ha, infine, anche nel Tempio di Venere e Roma, realizzato durante l’impero di Adriano: il tempio più grande mai costruito in città.

Per saperne di più:

F. Coarelli, Palatium. Il Palatino dalle origini all’impero, Roma 2012

R. Meneghini, I Fori imperiali e i mercati di Traiano. Storia e descrizione dei monumenti alla luce degli studi e degli scavi,  Roma 2010

E.M. Steinby, Lexicon Topographicum Urbis Romae, Roma, 1993 – 2000. Con Supplementi dal 2005 al 2014

T. Mavrojannis, “Evandro sul Palatino. La canonizzazione della tradizione arcade di Roma nel contesto politico della storia del II sec. a.C.”, in Atene e Roma, 2004, 1, pp. 6-20

IN BREVE

“L’estremo approdo della leggenda di Enea comporta una totale sovrapposizione fra mito troiano e ideologia del principato augusteo. L’eroe, scampato avventurosamente alla distruzione della sua città, è destinato in occidente a fondare una nuova Troia, che sarà Roma presso la foce del Tevere” (Lorenzo Braccesi, 2000)

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